La storia di Hussein: dall’Etiopia all’Italia, non ha mai smesso di correre

141736558-b0243d57-5683-4492-aa78-5c4e536cd30a

di Fausto Cuoghi / Repubblica.it

A bordo di un barcone carico di umanità salpato dalle spiagge libiche nel luglio del 2013 c’era anche Hussein Omar Mohamed. “Cinque giorni in mare a pane e acqua  – racconta il venticinquenne profugo etiope, etnia Oromo, con la passione per la corsa – Prima di salire ho pagato 1.500 dollari. Con me sull’imbarcazione alla partenza c’erano un centinaio di persone. Quando siamo sbarcati sulle coste italiane alcuni mancavano all’appello. A Bale, la mia città, ho lasciato genitori, fratelli e sorelle, gli amici, la stalla con le mucche e i cavalli, le montagne, alcune alte oltre quattromila metri”.  I soldi per il viaggio guadagnati a Tripoli come manovale da muratore dopo la fuga dal carcere alla “Papillon”, personaggio del romanzo omonimo del protagonista e autore francese Henri Charrière.

Evade dalla prigione di Bengasi dove era detenuto perché privo di documenti, da un foro ricavato, dopo tre mesi di lavoro con una piccola punta di metallo, nel muro di cinta. Nella terra di origine era già stato ospite  di strutture di detenzione, l’ultima in ordine di tempo Kaliti, città a pochi chilometri da Addis Abeba. “Mio padre e tutta la famiglia  è di etnia Oromo così come la metà  della popolazione etiope discriminata e perseguitata dai Tigrini , minoranza che governa il paese. Si è sempre battuto per i diritti e la libertà del nostro popolo.  Motivazione sufficiente per essere arrestato e condannato come gli è successo più volte. Sorte che è toccata anche a me in quanto figlio di un oppositore al regime e ritenuto attivista del Fronte per la Libertà del popolo Oromo. In carcere la dignità della persona viene azzerata. Mi hanno torturato“.

Si interrompe per un attimo, il ricordo gli crea ancora oggi molta sofferenza che si coglie dalla vibrazione della voce e guardandolo diritto negli occhi. Si concede un respiro lungo e profondo per riempire i polmoni d’aria come se dovesse affrontare una gara in apnea. “Le lesioni causate da bastonate dopo alcuni giorni si sono rimarginate. Le immagini di un diritto negato e punito con la detenzione , sono ferite che resteranno aperte nella mia mente per tutta la vita“. Riesce a fuggire, raggiunge il Sudan, lavora per due anni come barbiere. In territorio libico,  ultima tappa prima di imbarcarsi per l’Italia, arriva alla fine della traversata nel deserto del Sahara lungo la rotta dei migranti. Cinque giorni a bordo di un fuoristrada assieme ad altre persone stipate come sardine in scatola.

Il 29 luglio 2013 a Bologna con in tasca il documento di rifugiato politico, viene ospitato a Casa Rivani, struttura abitativa gestita dalla cooperativa “Arca di Noè” impegnata nell’accoglienza degli immigrati richiedenti protezioni internazionali che ha un rapporto di collaborazione anche con società sportive sul territorio. E qui si apre un capitolo nuovo e importante della storia di un ragazzo etiope a cui sarebbe piaciuto continuare a studiare.  “Ho dovuto interrompere la scuola perché la stalla e la campagna avevano bisogno delle mie braccia”. La passione per la corsa lo conduce a Luigi Giagnorio, Presidente del Gnarro Jet Mattei team di Bologna. “ Abbiamo chiesto alla cooperativa se fra i profughi ci fossero ragazzi interessati a entrare in una squadra di runner. Dalla verifica è uscito il nome di Hussein. Lo abbiamo tesserato e oggi è l’uomo di punta della nostra squadra”.

All’interno del gruppo trova due angeli custodi, Marco Babbini e Gelsomino Sergi che lo seguono affinando le doti innate di fondista . “Già dalla prima seduta di allenamento sulla pista del campo “Baumann”, ha dimostrato di poter correre a ritmi sostenuti – sottolinea Marco – Per noi è come un fratello con il quale condividiamo una buona parte del nostro tempo e ci ripaga con risultati importanti “. Le gambe che in un passato recente gli erano servire per fuggire in fretta e il più lontano possibile dai luoghi dove la richiesta di un diritto, la libertà di pensiero vengono considerati reati e puniti con la detenzione, oggi corrono veloci per  arrivare prime sulla linea del traguardo. Dall’inizio di quest’anno ha vinto la maratonina di Suviana, gara in salita di Vergato e l’ultimo sigillo il giorno di Ferragosto a Baigno: undici chilometri di montagna in 39:49”.

Babbini sostiene che se avesse la possibilità di entrare in una società con  le stellette, potrebbe rivelarsi una bella realtà per la nostra nazionale. “L’Etiopia è il mio paese ma mi piacerebbe diventare cittadino italiano e così potrei gareggiare con la maglia azzurra“ conferma Hussein, atleta part-time che lavora a ore e a chiamata per una impresa di pulizie.  Al “Centro di Accoglienza Autogestito Lampedusa” nell’ex clinica Berretta dove abita provvisoriamente in attesa di trovare una stanza piccola ma senza sbarre alla finestra, condivide il proprio letto con un conterraneo e sogna di fare la doccia con l’acqua calda.

 

Precedente Porretta - Lizzano - Corno alle Scale Successivo Run Tune Up, nell'elenco degli atleti “élite” c'è anche Hussein...

Lascia un commento